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I dati del lavoro accessorio e la natura della crescita del loro utilizzo
A piece of paper that says buono lavoro on it

I dati del lavoro accessorio e la natura della crescita del loro utilizzo

Le norme sull’utilizzo dei buoni lavoro per retribuire le prestazioni di lavoro di tipo accessorio, di cui agli articoli 70-73 del decreto legislativo n. 276 del 2003, sono state modificate dalla legge n. 92 del 2012 di riforma del mercato del lavoro, dalla legge n. 99 del 9 agosto 2013, dal decreto legislativo n. 81 del 2015 (Riordino dei contratti di lavoro del Jobs Act).

La progressiva estensione degli ambiti oggettivi e soggettivi di utilizzo del lavoro accessorio è andata di pari passo con l’aumento della vendita dei voucher, che ha registrato un tasso di crescita del 66% dall’anno 2014 all’anno 2015, e del 40% tra i primi sei mesi del 2015 e i primi sei mesi del 2016.

Dalla sperimentazione per le vendemmie del 2008, il sistema dei buoni lavoro è andato progressivamente ampliandosi sotto diversi profili, tra cui la modalità di distribuzione dei voucher, inizialmente acquistabili presso le sedi INPS ovvero tramite la procedura telematica, e successivamente ampliatasi grazie alle convenzioni stipulate con l’associazione dei tabaccai prima e con le Banche Popolari poi, e da ultimo con la possibilità di acquistare voucher direttamente presso tutti gli uffici postali. Attualmente, l’acquisto dei voucher presso i tabaccai è in ogni caso di gran lunga prevalente.

La tipologia di attività per la quale è stato complessivamente acquistato il maggior numero di voucher è il settore del commercio (16,8%). La consistenza della voce “altre attività” (36,7%; include “altri settori produttivi”, “attività specifiche d’impresa”, “maneggi e scuderie”, “consegna porta a porta”, altre attività residuali o non codificate) è il riflesso della storia del lavoro accessorio, come evidenzia una specifica nota dell’INPS emanata a riguardo, all’origine destinato ad ambiti oggettivi di impiego circoscritti (quindi codificabili), negli anni progressivamente ampliati, fino alla riforma contenuta nella legge n. 92 del 2012 che permette di fatto l’utilizzo di lavoro accessorio per qualsiasi tipologia di attività.

Il ricorso ai voucher è concentrato nel Nord del paese: il Nord-est con 127,7 milioni di voucher venduti incide per il 36,8%, mentre il Nord-ovest con 102,6 milioni di voucher venduti incide per il 29,5%

Il numero di lavoratori è cresciuto costantemente negli anni, mentre il numero medio di voucher riscossi dal singolo lavoratore, invece, è rimasto sostanzialmente invariato: circa 60 voucher l’anno dal 2012 in avanti. Poiché l’importo netto che il lavoratore riscuote per ogni voucher è di 7,50 euro, si ricava che il compenso annuale medio netto negli anni più recenti non è mai arrivato a 500 euro. Non ci sono differenze significative tra i sessi in termini di compenso. L’età media è andata sempre decrescendo, così come il differenziale di età tra i sessi. La percentuale di femmine è progressivamente aumentata, ed è attualmente superiore al 50%. La quota di lavoratori di cittadinanza extracomunitaria che hanno utilizzato voucher nel 2015 è dell’8,6%. Non ci sono differenze significative nel numero medio di voucher riscossi rispetto alla cittadinanza.

Questi dati smentiscono la valutazione di chi ritiene che il ricorso ai voucher di lavoro accessorio costituisca una forma di precarizzazione del lavoro standard e formale e conferma come, nel caso di utilizzo regolare dello strumento, il ricorso al lavoro accessorio costituisca una forma di emersione di attività limitate, specifiche e non sostitutive del lavoro ordinario. Nel caso di un sistema funzionante e con regolari ed efficaci controlli il voucher di lavoro accessorio è più uno strumento di emersione del lavoro in nero che un rischio di sommersione del lavoro strutturato.

30 ottobre 2016

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